Gli ultimi e i disperati… trovano la porta chiusa

Carissimi nipotini,
anche se sono argomenti da adulti e “scomodi” perché inquietano le coscienze, non posso esimermi dal portare alla luce i problemi dei tanti che ancora oggi conoscono solo il dolore, la violenza e la guerra e, nella loro disperata ricerca di una vita migliore, spesso trovano le porte chiuse.

L’occasione me l’ha data un passo del libro di Gemma Calabresi (La crepa e la luce) dove attraverso il racconto del suo lungo e faticoso percorso verso il perdono degli assassini di suo marito, lei inserisce questa riflessione:

“Viviamo in mezzo ai santi e nemmeno ce ne accorgiamo.

Persone che conoscono il dolore, che nascono e muoiono in guerra.

Donne e uomini che lasciano tutto per salvarsi, che sperimentano la violenza e l’umiliazione durante il loro viaggio, che arrivano sulla soglia di una possibilità di vita migliore e trovano la porta chiusa.

Sono gli ultimi e i disperati i santi di oggi, secondo me”.

Al di là della elevazione alla santità cristiana da parte dell’autrice, questi disperati dovrebbero essere oggetto della stima, delle attenzioni, dell’aiuto e dell’amore della società benestante.

Purtroppo anche oggi assistiamo attraverso i media ad un elenco infinito di miserie, violenze e povertà.

Violenze e povertà che non si identificano solamente nella fiumana dell’esodo disperato di popoli ma che possono trovarsi anche nelle nostre mura domestiche, nelle nostre piccole città, nei volti dei più deboli, nella solitudine degli anziani, nelle fragilità psicologiche che sfociano nelle varie dipendenze.

Le prevaricazioni dei forti sui deboli, i mutamenti geo-politici, le desertificazioni, le inondazioni, le guerre, spingono interi popoli a mettersi in viaggio per sfuggire alle tragedie di casa loro, nella speranza di una vita migliore.

Quanti di questi disperati scompaiono senza nemmeno lasciare un nome o un ricordo di se stessi.

Quanti dopo innumerevoli ed estenuanti sofferenze approdano ai paesi cosiddetti “civilizzati” e non ce la fanno ad integrarsi perché spesso trovano “la porta chiusa”.

Le porte chiuse sono innanzitutto quelli dei nostri cuori, poi quelle delle nostre case, delle nostre istituzioni, delle nostre politiche delle nostre culture.

Le porte chiuse sono i muri fisici e culturali che vengono eretti a protezione del nostro “benessere”.

Le porte chiuse dovrebbero essere aperte e i muri dovrebbero essere abbattuti per far posto a ponti che favoriscano l’accoglienza e l’integrazione.

Abbiamo paura di mettere in discussione le nostre convinzioni, abbiamo paura che la  cultura “dell’altro”, vada ad inquinare e a modificare, se non a sostituire, la nostra che riteniamo perfetta, dimenticando che spesso il confronto è motivo di arricchimento reciproco.

Noi adulti dovremmo imparare dai bambini che non fanno calcoli egoistici e guardano al compagno che gli sta a fianco indipendentemente che sia bianco o nero.

Con loro si relazionano tranquillamente, li coinvolgono nei loro giochi, magari ci litigano anche, ma li trattano sempre alla pari.

Con questo auspicio vi saluto e vi do appuntamento ad un approfondimento dell’argomento quando andrò a parlarvi delle strutture di housing sociale e in particolare della casa di accoglienza che è presente sul territorio di Osnago.

Nonno Antonio

L’immagine di copertina è di Bill Lapp.

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