Arte e tradizione della focaccia Camuna, portata avanti da mio cugino Claudio
Carissimi nipotini,
è da poco passata la Pasqua e, nello scambio di auguri, il mio carissimo cugino Claudio e la sua famiglia mi hanno ricordato la tradizione delle famose “Spongàde” cioè le focacce che venivano preparate soprattutto nel periodo pasquale.
Il nome “Spongàda” sembra che derivi dal latino antico “Spongia” che letteralmente vuole dire “Spugna”.
Probabilmente la particolare morbidezza di questo dolce ha fatto pensare ad una spugna e da qui il nome di “spongàda”.
È un dolce antichissimo. Infatti sembra che, secondo alcuni studiosi, la prima testimonianza scritta risalga addirittura all’inizio del 600.
La voce popolare ha tramandato un aneddoto curioso sull’origine della “spongada.
La leggenda della spongàda de Pasqua
Secondo un’antica narrazione l’introduzione della spongàda in Valle Camonica sarebbe da far risalire a molti secoli fa quando, una sera, entrò in una panetteria un mendicante chiedendo in dono l’ultima pagnotta rimasta nel cesto.
Il racconto spiega come Rosa, la titolare, abbandonando la consueta avarizia, accontentò il povero uomo, il quale, nascosta la pagnotta sotto il mantello… miracolosamente la tramutò in una dolcissima focaccia che da quel giorno prese il nome di spongàda.
Molti presenti riconobbero nei tratti del questuante il volto di Gesù.
Lasciamo la simpatica leggenda, che nasconde l’importante morale che ad essere altruisti e generosi, non solo si fa del bene, ma si è ripagati abbondantemente, e torniamo ai giorni nostri con il mio cugino Claudio e la sua tradizione pasquale.
Come ho già avuto modo di dire, il mio cugino, circa 70 anni fa, ha imparato e praticato il mestiere della panificazione nel forno degli zii a Volpino.
È qui che, seguendo la tradizione di quegli anni, ha imparato l’arte della preparazione delle famose “spongade” di Pasqua.
Da circa 40 anni ha abbandonato il lavoro di fornaio ma nei giorni precedenti alla Pasqua non ha mai smesso di preparare il famoso dolce mantenendo rigorosamente gli stessi ingredienti e lo stesso procedimento.
Quest’anno gli ho chiesto di darmi la ricetta e di descrivermi la lavorazione e lui ha acconsentito molto volentieri.
Non si è però limitato ad una fredda descrizione ma ha arricchito il tutto lasciando trapelare il suo entusiasmo, la sua gioia quando le “spongade” escono dal forno e le considerazioni e i sentimenti che questa tradizione gli suscitano.
Non potrei descrivere meglio la preparazione delle “spongade” di come ha fatto lui, per cui, con il suo consenso, riporto quasi integralmente quanto mi ha scritto.
Ingredienti per 1 Kg. di farina
- 5 uova a pasta gialla (due albumi da scartare);
- 3 etti di zucchero;
- 1,5/2 etti di burro;
- 1 etto di lievito, meglio se in polvere, ma va bene anche il panetto;
- Sale;
- Latte;
Inizia mettendo le uova e lo zucchero in un contenitore, mischiando finché non è tutto ben sciolto.
Nel frattempo sciogli il burro, un pochino di latte e il lievito in una padella sul fuoco.
Quando è caldo non versarlo subito nelle uova, ma fallo raffreddare un po’ finché non è tiepido, altrimenti cuoce le uova.
Ora aggiungi la farina, ma non tutta insieme, bensì a pioggia, in modo da non esagerare con la quantità, perché se ce n’è troppa non lievita bene.
Amalgama il tutto finché l’impasto non è compatto e morbido (o comunque non troppo duro), poi mettilo a riposo.
Affinché la lievitazione avvenga al meglio ti consiglio di avvolgere l’impasto in una tovaglia o un grande panno e riporlo all’interno di una scatola di cartone, in una stanza calda.
Lascialo a riposo finché non è diventato all’incirca il doppio della dimensione di partenza.
Quindi suddividi l’impasto in panini più piccoli, le “spongade” effettive, e lasciale riposare ancora sotto un panno, sempre aspettando un raddoppio della dimensione di partenza.
A questo punto sbatti un uovo e con un pennello mettine un po’ su ogni panino, quindi cospargi, a piacere, dello zucchero normale o in granella.
L’uovo spalmato farà da naturale collante dello zucchero.
Metti a cuocere in forno già caldo a 230°C su una teglia ricoperta con carta da forno in modo che i panini non si attacchino sul fondo.
Controlla con attenzione la cottura, se la parte superiore prende colore subito ti consiglio di appoggiarci sopra un altro foglio di carta da forno. Il tempo di cottura solitamente è intorno ai 25 minuti.
Come tempistiche ed orari io solitamente inizio la sera verso le 19, in modo da avere l’impasto pronto prima delle 20 e quindi lo lascio a riposo per la prima lievitazione fino alla mattina dopo alle 7/8 (o comunque fino a quando vedo che è lievitato a sufficienza).
Il metodo che utilizzo è quello che ho sempre usato ed imparato al forno degli zii.
Il tutto è fatto a mano senza usare fruste elettriche o altri macchinari simili.
L’unica cosa che non segue la tradizione è la cottura che devo fare per forza in un forno elettrico normale, non avendone a disposizione uno a legna.
Anche le forme e le decorazioni aiutano a rendere più belli e appetitosi questi dolci.
Per questo motivo, mi piace e mi diverto a dare ai panini delle forme diverse.
La “spongada classica prevede un semplice taglio centrale che cuocendo si allarga facendo intravvedere al centro una riga più gialla mentre le creste del taglio essendo più sottili si colorano più intensamente di un bruno dorato.
Alle volte faccio anche delle piccole trecce.
Una forma che mio nipote Nicolò adora, ma che quest’anno non ho fatto, è “il cestino”: una focaccia con all’interno un uovo fresco che cuocerà con la cottura della focaccia.
Per rendere maggiormente l’idea di un cestino, con l’impasto, preparo ed attacco due manici. A cottura avvenuta, l’uovo può anche essere decorato e personalizzato e ti assicuro che l’effetto è eccezionale tanto che dispiace quasi tagliarla per mangiarla.
La forma che richiama maggiormente la pasqua rimane però la colomba, la preferita da mia figlia Lory, che può avere la dimensione della focaccia o può essere grande come le colombe che vengono prodotte industrialmente.
Quando preparo la colomba grande, mia figlia Lory la vuole ulteriormente personalizzare e caricare del significato pasquale, usando per gli occhi due piccole foglie di ulivo benedetto la domenica delle palme.
Quest’anno non ne avevo a disposizione e ho quindi ripiegato con due pezzi di stuzzicadenti.
Il lavoro è lungo, spesso richiede levatacce per controllare la prima lievitazione che deve essere colta al momento giusto.
Nel riconoscere il momento giusto della lievitazione, sta un po’ il segreto per una buona sofficità del prodotto finito.
Io mi baso sulle dimensioni dell’impasto, ma anche sull’aspetto e sulla consistenza dello stesso.
A volte mi è capitato di dover preparare i panini al mattino molto presto perché l’impasto si era ingrandito molto velocemente, ma credimi, ne vale la pena!
È vero che è un dolce pasquale, ma quando mi metto al lavoro non mi accontento di prepararne poche e solo per i giorni festivi, ne faccio molte di più e appena raffreddate le inserisco nei sacchetti per freezer e le congelo.
Ti garantisco che quando ti viene voglia di mangiarla, appena scongelata, è fresca e buona come appena fatta.
È un ottimo spuntino da mettere in uno zaino per una scampagnata estiva.
Dopo avere preparato l’impasto alla sera, bella ed emozionante è l’attesa del mattino per controllare la prima lievitazione e proseguire nella preparazione.
Sdraiato a letto, faccio fatica a prendere sonno.
I miei pensieri tornano a quando avevo 10/12 anni, l’età in cui ho incominciato a lavorare al forno dei miei zii a Volpino.
Ricordo la fatica delle levatacce, del sollevamento dei pesanti sacchi di farina e delle ceste di pane ma su tutto prevale il ricordo piacevole del profumo del primo pane che veniva sfornato.
A proposito delle “spongade”, ricordo le ceste con le focacce che, nella settimana prima di pasqua, le donne del paese portavano al forno per farle cuocere.
Era una settimana di intenso lavoro perché il tutto si aggiungeva alla normale panificazione quotidiana.
La gioia della Pasqua si avvertiva non solo nelle numerose celebrazioni liturgiche che all’epoca coinvolgevano la quasi totalità delle persone, ma anche nel prolungato suono delle campane a festa e dall’inconfondibile profumo che dal locale del forno si diffondeva per le vie del piccolo paesino di Volpino.
Ancora oggi, quando incontro qualcuno (purtroppo siamo rimasti in pochi della mia generazione), mi piace ricordare quei tempi, quelle fatiche, ma anche quei profumi e quei valori.
Oggi non è immaginabile e non sarebbe nemmeno considerato legale che un ragazzo di soli 10/12 anni passasse le sue giornate davanti al calore del forno, alzandosi all’una di notte, spostando sacchi di farina, impastando e consegnando ceste di pane.
Al giorno d’oggi è molto più comodo andare al supermercato a comperare una focaccia.
Le forme e i colori sono invitanti, ma gli ingredienti, i sapori e i principi nutritivi di allora sono irraggiungibili.
Per concludere posso dirti che a quasi 84 anni sono felice di essere riuscito a prepararle nuovamente, chissà se per l’ultima volta, visto che le forze iniziano a mancare.
Sono felice di essermi fatto una bella scorpacciata e soprattutto sono contento di vedere mio nipote Nicolò ancora stupito, dai processi della preparazione, come quando era un bambino.
Ancora oggi, come allora, mi chiede un pezzo di pasta per preparare una sua focaccia.
Inevitabilmente, nonostante l’impegno, la “spongada” rimane piatta e non lievita come la mia.
A quel punto con un sorriso di affetto e soddisfazione, concludo dicendo: “Non ci sono più i fornai di una volta”.
Ringrazio e saluto caramente il caro cugino Claudio per la sua appassionata e dettagliata descrizione.
Anche a me ha mosso tanti cari ricordi perché anch’io da ragazzo ho bazzicato nel forno di Volpino.
Credo proprio che il prossimo anno proverò anch’io a cimentarmi nella preparazione di questo semplice ma squisito dolce.
Nonno Antonio
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