Il colbacco gli salvò la vita (80mo anniversario Ritirata di Russia)

Carissimi nipotini,
non voglio parlarvi nello specifico della campagna di Russia voluta nel 1942 dall’allora governo italiano per appoggiare l’invasione lanciata all’URSS da parte del governo tedesco.

Di questo non ho le competenze e non voglio entrare in discussioni e giudizi politici.

La storia dispone di un’ampia documentazione, scritta e fotografica, che viene insegnata nelle scuole e ricordata nell’anniversario della liberazione e a volte associata alla giornata della memoria del 27 gennaio.

Personalmente mi limiterò quindi a brevi accenni storici necessari per inquadrare il contesto in cui avvenne l’episodio che ha contribuito a salvare la vita del mio carissimo suocero e vostro bisnonno Daniele.

Arruolato nel 1941 nel battaglione alpini, poco dopo, assieme all’8° armata Italiana, fu inviato sul fronte russo a fianco delle truppe tedesche che avevano iniziato l’invasione dell’unione Sovietica.

Dopo un inizio di invasione che sembrava essere favorevole alla coalizione tedesco-italiana, le truppe russe, approfittando dell’arrivo del rigido inverno, sferrarono una grande offensiva sulle rive del Don, riuscendo ad accerchiare i soldati invasori.

Tra questi c’era anche il battaglione degli alpini “Tridentina” al quale il bisnonno Daniele faceva parte.

Grazie al coraggio e allo spirito di abnegazione degli alpini della “Tridentina” e della “Julia”, l’armata tedesco-italiana riuscì a creare un varco nell’accerchiamento delle truppe russe.

Fu così possibile aprire una via per una ritirata, anche se si dimostrerà tragica per le condizioni proibitive dell’inverno russo e per l’impossibilità di rifornirsi di cibo e riparo in quanto i russi avevano bruciato tutti i paesini attorno.

Una marea umana di uomini, a piedi, male equipaggiati, senza rifornimenti e in condizioni meteorologiche proibitive iniziò così il lungo cammino verso la propria patria.

Significativo è il titolo del libro, “Centomila gavette di ghiaccio” che l’alpino Giulio Bedeschi, una volta rientrato in Italia, scrisse per raccontare quei tragici momenti.

È su questa strada che si verificherà l’episodio che molto probabilmente ha salvato la vita a mio suocero.

In un paesaggio spettrale, il mio suocero Daniele, si imbatté in una delle poche cascine agricole risparmiate dalla distruzione dei russi.

Fuori, assieme a miseri capi di biancheria appesi ad un filo per asciugare, era appeso anche uno dei caratteristici colbacchi  russi, di quelli in pelle e con paraorecchie.

fotografia di Sean Steward (Flickr)
fotografia di Sean Steward (Flickr)

Il vecchio e madido cappello da alpino in dotazione, a poco serviva per ripararsi da un freddo che spesso raggiungeva temperature abbondantemente al di sotto dello zero.

Nel colbacco il mio suocero intravvide una possibilità di salvezza e, superato la sua proverbiale onestà, se ne impossessò.

A nulla valsero le urla di una donna, che accortasi del furto, uscì dalla misera casa per reclamare la sua proprietà.

Raccogliendo quelle poche energie che ancora gli rimanevano, si mise a correre allontanandosi il più possibile dalla vista della cascina.

Calzato completamente il cappello continuò la sua marcia nella steppa desolata e, grazie a quel cappello e ai pochi avanzi di cibo che riusciva a recuperare nelle pattumiere e nelle campagne, verso la fine di marzo del 1943 riuscì a raggiungere l’Italia.

Nel 1945, finita la guerra, i reduci e la popolazione civile, lentamente incominciarono a ricostruire le ferite materiali e quelle interiori, avviandosi lentamente verso una vita normale.

La vera storia del colbacco venne a galla molto più tardi.

Il mio suocero Daniele, come molti soldati e civili che furono coinvolti nei tragici eventi della 2° guerra mondiale, non amava parlare di quegli eventi.

Probabilmente il trauma era stato talmente grande che aveva paura che il ricordarli potesse risvegliare l’enorme sofferenza di quei giorni.

Comunque, anche se non ci fu la possibilità di restituire il colbacco al legittimo proprietario, il mio suocero fu idealmente sempre riconoscente a quella donna che probabilmente avrà avuto modo di rimpiazzare il cappello.

Quel copricapo, impedendo il congelamento e quindi la quasi certezza di un arresto della marcia verso casa con conseguenze che potevano essere tragiche, gli aveva letteralmente salvato la vita permettendogli di ritornare, nel marzo del 1943, nella sua amata patria e più tardi alla fine della guerra, ai suoi affetti famigliari.

Marzo 1943 – marzo 2023, sono passati esattamente 80 anni.

Si dice che la storia è maestra di vita. Purtroppo gli uomini si sono dimenticati di quei tragici eventi e, anche oggi, quelle terre sono bagnate dal sangue innocente causato da un conflitto assurdo e crudele.

Possano questi ricordi contribuire a formare in voi e nelle nuove generazioni una coscienza e una mentalità di pace al di sopra di ogni interesse e di ogni differenza di colore e di cultura.

Nonno Antonio

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