Carissimi nipoti,
mio nonno materno e vostro trisavolo Giovanni, classe 1883, è nato e vissuto a Castelfranco di Rogno, un piccolo paesino all’inizio della Val Camonica e ai piedi delle prealpi bergamasche che portano al monte Pora.
Nelle precedenti due letterine (“Nonno muliner e il ciclo del pane” e “Nonno muliner e il disastro del Gleno”) vi ho parlato della sua principale attività lavorativa.
Prima di entrare nel racconto di come il mestiere di mugnaio del nonno abbia influenzato l’attività dei figli, voglio raccontarvi qualche aneddoto curioso che mi ha raccontato recentemente il mio cugino Claudio.
I primi due sono legati al maiale, animale che non poteva mancare anche nelle case più povere, perché dalla sua macellazione dipendeva una buona parte del sostentamento dell’intera famiglia per tutto l’inverno.
Il maiale è erroneamente considerato un animale sporco perché si ciba di ogni cosa e si rotola nel fango ma, se ha la possibilità di vivere all’aria aperta e in natura, è pulitissimo.

L’abitudine di rotolarsi nel fango, facendo veri e propri “bagni di fango”, in realtà ha una funzione igenico-sanitaria. Infatti, quando il fango si è seccato sulle setole, il maiale se lo toglie strofinandosi su superfici ruvide e, in questo modo, tiene pulito il manto, eliminando tutti i parassiti.
Al tempo del mio nonno Giovanni bambino (parlo del 1890 circa) non c’erano tanti intrattenimenti e spesso, nei momenti di pausa, le persone si riunivano nei cortili o nelle stalle e si divertivano a raccontare storie o ad inventare scherzi.
Fu così che un giorno un paio di adulti, presenti nella stalla dove era custodito anche il maiale, imbastirono un discorso che a mio nonno Giovanni che all’epoca aveva solo 5/6 anni parve serio.
Guardando in direzione del maiale i due commentarono: “Ma guarda come è sporco! Credo proprio che sia necessario pulirgli le orecchie”. E rivolti a mio nonno: “Giovanni andresti per favore dallo zio Luigi per farti prestare gli attrezzi necessari?”
Al piccolo Giovanni non parve vero di potersi rendere utile e quindi si precipitò in fondo al paese alla casa dello zio.
Lo zio Luigi che conosceva bene la storiella della pulizia delle orecchie del maiale e altrettanto bene i due bontemponi che avevano inventato quella richiesta li assecondò e consegnò al nipote un sacco pieno di inutili ferraglie che Giovanni fece fatica a portare fino a casa.
Quando entrò nella stalla trascinando il sacco con i presunti attrezzi, i due scoppiarono in una fragorosa risata e a quel punto il piccolo Giovanni capì di essere stato oggetto di uno scherzo.
Il secondo fatto curioso legato al maiale, è successo quando mio nonno era ormai un uomo adulto.
Per l’uccisione e la macellazione del maiale, veniva usato lo stesso carro che serviva per il trasporto quotidiano del grano.
Il maiale veniva issato a forza sul carro, legato alle sponde e quindi si procedeva con la sua uccisione con il metodo, per fortuna oggi assolutamente bandito, del taglio della gola.
Quella volta probabilmente qualcosa andò storto o il maiale era più disperato e più forte del solito, perché ad un certo punto riuscì a liberarsi e furono necessarie parecchie ore e l’impiego di quasi tutti gli uomini del paese per riuscire a catturarlo.
Un ultimo aneddoto del mio nonno Giovanni è legato alla banda musicale del paese che venne fondata nel 1911 con tanto entusiasmo e tanta fatica. La banda è tutt’ora attiva, ma questo sarà un argomento che affronterò per esteso più avanti.
Il mio nonno Giovanni scelse di imparare a suonare il basso tuba all’epoca e per la sua mole meglio identificato come “trombone”.

Date le difficoltà economiche (l’acquisto degli strumenti era per buona parte a carico dei suonatori) dovette accontentarsi di uno strumento di seconda mano un po’ ammaccato e senza custodia.
Quando non veniva utilizzato, lo strumento veniva appeso ad un chiodo su una parete di casa. Come si sa il basso tuba ha una campana molto grande che probabilmente attirò l’attenzione del gatto di casa che una volta, non gli parve vero di utilizzarla come tana per i propri piccoli.
Quindi si racconta che, quando mio nonno andò per prendere lo strumento, si vide saltare fuori gatto e gattini. Non so quanto sia veritiero questo aneddoto o se sia stato un modo per sottolineare il poco uso che il nonno faceva dello strumento.
Il fatto, ricordato spesso anche dalla mia mamma, mi è sembrato molto simpatico e ho voluto riportarlo perché sembra trovare conferma anche in una poesia dialettale riportata in un lungo articolo che ricorda tutta la storia della nascita della banda di Castelfranco di Rogno.
Da questa poesia estrapolo solamente il versetto relativo al gatto:
“Lè capitat el caso chè giü ‘l vulìò shunà ‘l trumbù, ma quanc chè l’à shoffiat l’è shaltatfò ü gatù”.
Naturalmente traduco perché per molti questo dialetto risulterà incomprensibile:
“E’ capitato il caso che uno voleva suonare il trombone, ma quando ha soffiato dentro, è saltato fuori un gattone”.
Con questi simpatici aneddoti chiudo questa letterina e vi do appuntamento alla prossima dove andrò a descrivere i figli del mio nonno (tra cui naturalmente la mia mamma e vostra bisnonna Maria) e i loro primi passi nel mondo del lavoro sulla scia del mestiere del padre.
Nonno Antonio
L’immagine di copertina è di prof.bizzarro
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