Il mio nonno “Muliner” e il ciclo del pane

Carissimi nipotini,
per arrivare alla fragranza, al profumo e alle proprietà nutrizionali delle dorate pagnotte, la strada è molto lunga.

Si parte dalla terra, dalla sua concimazione, per passare all’aratura, alla semina, alla cura delle nuove piantine, alla mietitura e alla trebbiatura per separare i chicchi dalla paglia.

Un ciclo produttivo, oggi reso meno pesante dai numerosi macchinari, che normalmente parte da ottobre per concludersi a giugno. Seguirà poi nel corso dell’estate l’essiccazione e la macina con la trasformazione dei chicchi in farina che sarà utilizzata per la panificazione quotidiana dell’intero anno.

Nel mondo attuale dove le tecniche di lavorazione si sono industrializzate e i panifici artigianali sono quasi spariti dai centri abitati, è difficile sentire ancora il profumo del pane. Nei tempi della mia infanzia e fino a qualche decennio fa, entrando nelle strade dei paesi al mattino presto, si individuava facilmente la bottega del fornaio dal profumo del pane che invadeva piacevolmente le strade.

Con la produzione del pane, la famiglia della mia mamma ha sempre avuto un rapporto molto stretto e io stesso ho fatto in tempo ad avvicinare questo mondo ricavandone esperienze e sensazioni piacevoli che ancora oggi ricordo volentieri.

Vorrei condividerle con voi per farle rivivere e per farvi innamorare del cibo per eccellenza che è “il pane”.

Il legame e l’amore per il pane inizia con mio nonno materno e vostro trisavolo Giovanni, classe 1883 (pensate, è nato solo due anni dopo la fondazione del Regno D’Italia e un anno dopo la morte del grande eroe Giuseppe Garibaldi) che, per il mestiere che faceva, era meglio conosciuto come “Muliner” cioè mugnaio.

Egli infatti aveva preso in affitto una vecchia cascina costruita a fianco di una grossa roggia che portava le sue acque al vicino fiume Olio. Lo scorrere dell’acqua, resa più  irruenta con la costruzione di piccole paratie a monte della cascina, alimentava, facendola girare, una grossa ruota in legno che a sua volta faceva girare gli ingranaggi che muovevano la pietra della macina.

Già nella mia infanzia, attorno agli anni sessanta, il mulino non esisteva più, anche se si intravedeva ancora l’attaccatura della ruota. La costruzione che aveva ospitato il mulino, era stata trasformata in una cascina agricola con le stalle per l’allevamento del bestiame, lo spazio per il ricovero del foraggio e degli attrezzi agricoli.

Il cascinale aveva però mantenuto, e credo che lo mantenga tutt’ora, il nome “Mulì” a ricordo dell’antico utilizzo. Nel mulino che probabilmente non era l’unico della zona, provenivano i cereali che si producevano nella piana del fiume Olio, per essere convertiti in farina.

Mio nonno, che probabilmente aveva uno spirito da commerciante, oltre che ad occuparsi del funzionamento del mulino che comunque era stagionale, si spostava con il suo carro trainato da un mulo data l’entità dei pesi e i dislivelli delle strade per la piana del fiume Olio andando ad acquistare cereali che poi convertiva in farina che rivendeva o barattava con altre merci.

Io non ho fatto in tempo a conoscere personalmente il mio nonno “Muliner” perché è mancato il 19 febbraio del 1952, quando io avevo poco più di un anno, quindi quello che so di lui mi è stato raccontato dalla mia mamma e dai miei zii.

Prima di andare avanti a raccontare come dall’attività di mugnaio la famiglia della mia mamma successivamente si sia cimentata nell’attività di fornai, vorrei dedicare la prossima letterina a raccontarvi un evento molto importante e tragico per la valle Camonica e che ha vissuto in prima persona anche mio nonno nell’esercizio della sua attività, fortunatamente senza conseguenze. Vi raccomando quindi di non perdere le notizie della prossima letterina.

Cari saluti da nonno Antonio

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