Coronavirus: non dimentichiamoci dei bambini (e dei loro nonni)

Sono giorni, settimane direi, che rifletto su ciò che stanno vivendo bambini e nonni. Lo faccio guardando ogni giorno (da un mese a questa parte per 24 ore al giorno) i nostri bambini e pensando ai loro nonni.

La nostra società, basata sull’apporto insostituibile dei nonni (cui anche il nostro welfare ha fatto indirettamente, o direttamente, tanto affidamento) affronta un momento di crisi indiscutibile.

Noi stessi (non posso che far riferimento alla nostra diretta esperienza) abbiamo sempre beneficiato del contributo così prezioso dei nostri genitori nella crescita dei nostri figli. Contributo che ci ha permesso di regalare loro una parte importante di affettività, un sostegno quando noi genitori siamo assenti (principalmente per impegni lavorativi) e un sussidio che diviene, per forza di cose, anche economico. Perché il tempo da loro offerto può essere tradotto anche in un contributo economico (cui anche il nostro stato sociale ha ovviamente beneficiato).

Oggi ci ritroviamo (dal 24 febbraio per la precisione) con scuole chiuse, distanziamento sociale imposto (o altamente consigliato) e bambini da gestire in una routine quotidiana totalmente nuova, stretta tra le mura domestiche.

Una situazione che tutti che stiamo affrontando con insicurezza e senza un adeguato sostegno del nostro welfare. Perché, per esempio, 15 giorni di congedo parentale per 2 mesi di chiusura delle scuole sono troppo pochi. E non solo per la mancanza di adeguati supporti.

Perché se la nostra società si basava sul contributo dei nonni, a rimetterci oggi sono (oltre ai nonni) i bambini e i loro genitori. Noi genitori che lavoriamo e non sappiamo come, al contempo, gestire i nostri bambini. Perché dovremmo lavorare e dovremmo badare anche a loro. Due situazioni non compatibili.

A pagare le conseguenze di tutta questa situazione saranno soprattutto i bambini, quelli nella fascia 3-6 anni (come i nostri) cui manca la socialità vissuta nelle scuole dell’infanzia e quelli più grandi i quali devono subire (con i loro genitori), in aggiunta, le difficoltà della didattica a distanza.

Non possiamo più tenere relegati i nostri bambini nello loro case. Il tempo sta per scadere. I bambini hanno bisogno di ossigeno, aria, sole e socialità. Alla comunità scientifica spetta il compito di stabilire come andrà vissuta questa nuova “socialità” e alla politica il dovere di prendere decisioni forti, sicure verso una (speriamo soltanto transitoria) nuova socialità.

Non possiamo dimenticarci dei bambini. Perché sarà pur vero questa situazione sta portando con sè delle pesanti ripercussioni economiche ma le conseguenze sociali (e psicologiche) potranno essere decisamente peggiori.

Date il giusto valore a quanto avete appena letto. Si tratta soltanto del racconto di quanto sta vivendo e ha vissuto un papà guardando ai suoi tre bambini.

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1 commento

  1. Author

    Non possiamo che concordare con la constatazione della crescente sofferenza e difficoltà dei bambini, dei loro genitori e di noi nonni nel continuare a gestire una situazione di grave emergenza come questa. Emergenza che come si dice “a misura d’uomo” e cioè dall’alto dei nostri quasi 70 anni, non avevamo mai vissuto. E’ un’emergenza che fortunatamente per ora ci ha risparmiati dal contagio del virus ma che si fa, giorno dopo giorno, più pesante dal lato psicologico. Quello che pesa maggiormente, oltre a trovare quotidianamente il modo di dare un senso alle nostre giornate, è l’assoluta incertezza, alimentata anche dal bombardamento spesso contraddittorio dei media, sui tempi e sui modi della gestione e della fine di questa emergenza. Purtroppo non abbiamo delle soluzioni da proporre e crediamo che neanche il governo non possa fare molto se non occuparsi concretamente del sostentamento di tutte quelle famiglie che non possono temporaneamente lavorare perchè devono curare i propri figli o perchè le loro aziende sono chiuse. La “Misura però è colma” e crediamo, per evitare che i problemi psicologici diventino cronici, non si debba andare oltre il termine del 3 maggio. A questo punto bisognerebbe avere il coraggio di abolire o modificare il distanziamento sociale e soprattutto bisognerebbe permettere che i nonni riprendano ad occuparsi dei loro nipoti, per il bene loro e nostro e per il bene dei figli che potranno piano piano, nel rispetto delle dovute misure igenico sanitarie, riprendere il loro lavoro nella società.

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