Vacanza studio a Londra (negli anni ’60!)

Carissimi nipotini,
come vi avevo preannunciato nell’ultima letterina, oggi voglio raccontarvi la mia prima e unica vacanza studio. Eravamo nel 1968 (quindi ben 52 anni fa!) e già all’epoca era possibile fare una vacanza studio all’estero, ma date le scarse disponibilità familiari mai avrei pensato di poter fare una esperienza del genere.

In questo periodo, come ho già detto in alcune letterine, io ero in convitto a Bergamo in via Pignolo e frequentavo la quarta classe della specializzazione di  Perito Tessile. Se qualcuno volesse rivedere  le immagini, i ricordi e le emozioni degli anni passati in questo convitto e nell’istituto tecnico Esperia di via Paleocapa, può tornare alla letterina di nonno Antonio: “Il passaggio dalla scuola media alle superiori“.

Durante la primavera del 1968, sfogliando il giornale di Bergamo, mi sono imbattuto nell’annuncio di un concorso, consistente in un componimento di cui non ricordo il titolo, finalizzato all’assegnazione gratuita di una vacanza studio di 20 giorni a Londra.

Incuriosito e, senza molto convinzione, ho partecipato al concorso e con mia grande sorpresa, dopo alcuni giorni, mi è stato comunicato che il mio tema era stato scelto e premiato con l’annunciata vacanza studio.

Seguì la comunicazione di tutti i particolari di questa vacanza che era stata era programmata per l’estate. Credo comunque che sia meglio scoprirli passo passo così come li ho vissuti io.

Partenza in pullman dalla Rondinera di Rogno fino a Bergamo. Poi treno per Milano e alla stazione, una copia del giornale di Bergamo in mano come segno di riconoscimento, con un pulmino sono stato portato all’aeroporto assieme ad altri ragazzi che non conoscevo e che probabilmente arrivavano da province diverse.

Dopo un paio d’ore l’aereo è atterrato a Londra e una volta a terra, una voce all’altoparlante ci ha chiamato uno alla volta (sento ancora la voce con il classico accento inglese che chiamava; “Mister Balzarini”) consegnandoci ciascuno ad una famiglia. Dopo le presentazioni sono salito sulla loro auto e dopo una mezz’ora siamo arrivati nella loro villetta alla periferia di Londra.

A sinistra Nonno Antonio

Qui ho conosciuto il resto della famiglia: un figlio e una figlia più o meno della mia stessa età. Oltre a me, la famiglia ospitava anche un ragazzo francese con il quale condividevo la camera. Quella con il ragazzo francese, è stata una convivenza quanto mai curiosa in quanto entrambi non conoscevamo bene la lingua dell’altro e la nostra conoscenza della lingua inglese era abbastanza scarsa. Comunque in qualche modo riuscivamo ad intenderci.

La casa era una bella villetta inserita in un contesto residenziale con molto verde.

Le nostre giornate iniziavano con un’abbondante colazione alla quale io non ero abituato ma che ben presto ho imparato ad apprezzare tanto che la consideravo il pranzo principale della giornata. Finita la colazione prendevo uno dei tanti autobus rossi a due piani che mi portava nel centro di Londra dove seguivo un corso di inglese.

Il senso di marcia degli inglesi, dal lato opposto della strada rispetto a noi, all’inizio mi ha suscitato un po’ di apprensione e curiosità, soprattutto quando sedevo nella parte alta degli autobus.

Le lezioni si protraevano fino alle 16 e quindi la famiglia ci preparava un piccolo spuntino al sacco che normalmente era costituito di un semplice sandwich farcito con una sottiletta e con una foglia di insalata o una fetta di pomodoro. Devo ammettere che non ero abituato a questo tipo di cibo ma, quando la fame si faceva sentire, andava bene anche questo.

Rientravo a casa attorno alle 17 e, per tirare l’ora di cena, passeggiavo nei dintorni e spesso la famiglia ne approfittava per far fare il giretto al loro cane. Non ricordo di che razza fosse, ma somigliava al noto “Lassie” e si chiamava Molly.

Quindi con Molly al guinzaglio mi incamminavo cercando di ricordare la strada dov’era collocata la villetta e per sicurezza, sapendo del mio scarso senso dell’orientamento, tenevo sempre in tasca un foglietto sul quale avevo annotato il nome e l’indirizzo della famiglia di cui ero ospite.

Un giorno, questo piccolo stratagemma, mi ha permesso di poter ritornare a casa. Infatti quel pomeriggio, mentre procedevo nel mio giro ormai collaudato, Molly seguendo il richiamo di un altro cane e nonostante io continuassi a dire: “Come here Molly” mi costrinse a cambiare direzione e così dopo un po’ mi trovai completamente in un altra zona.

Foglietto alla mano chiesi aiuto ad alcuni passanti e finalmente riuscii a ritrovare la strada di casa.

Durante le tre settimane di permanenza la scuola aveva organizzato anche alcune gite in città e nei dintorni ed in una di questi ci portarono a visitare degli scavi archeologici in cui lavorava un gruppo di studenti che aveva deciso di passare le proprie vacanze in un modo originale ma estremamente utile e interessante.

Anche se all’inizio i giorni sembravano non passare mai, piano piano mi sono abituato a questa nuova vita e arrivò così il giorno della partenza.

Contrariamente al viaggio di andata in aereo, il viaggio di ritorno fu tutto su treno. Sono salito sul treno a Londra e arrivati allo stretto di Dover il treno fu fatto salire sulla nave che lo depositò, dopo la breve traghettata, nel suolo francese. Da li il treno proseguì fino a Milano dove presi un pullman che mi portò direttamente a casa mia.

Volendo fare adesso, dopo 50 anni, un bilancio di questa esperienza, direi che è stata più che positiva e vorrei tentare di sottolineane i motivi e gli insegnamenti che ne derivano.

Grazie a questa vacanza studio ho potuto migliore la mia conoscenza della lingua inglese. Mi sono aperto alla visione di una città che per me all’epoca appariva enorme e caotica. Mi sono arricchito dei contatti umani della famiglia che mi ha ospitato (per me era e forse lo è ancora adesso, una cosa difficile ospitare nella propria casa un estraneo quindi tanto di cappello a chi lo ha fatto e continua a farlo).

Mi sono arricchito dei contatti con altri ragazzi che come me hanno deciso, chi in vacanza studio o chi in vacanza lavoro, di fare delle ferie insolite ma più utili e interessanti.

Inoltre, come credo spesso capiti quando si sta fuori dalla propria casa e dal proprio paese per un po’ di tempo, al ritorno ho apprezzato maggiormente il mio ambiente familiare e tutto il contesto in cui vivevo.

Infine, facendo riferimento al concorso che ha permesso questa esperienza, mi viene da dire che bisogna sempre tentare, sempre osare perché a volte, anche gli obiettivi che sembrano impossibili, si possono raggiungere.

Con queste considerazioni vi saluto e vi do appuntamento alla prossima letterina.

L’immagine di copertina è di Phil Fiddyment

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