Carissimi nipoti,
come ho detto nell’ultima letterina, la mia famiglia con i vostri genitori, ha potuto godere di vacanze in colonie parzialmente trasformate all’accoglienza di nuclei familiari.
Infatti, verso la fine degli anni ottanta e anche successivamente, io e la mia famiglia abbiamo passato le ferie in una ex colonia di proprietà dell’allora parroco di Corti, don Giovanni Lazzaroni, in Liguria e precisamente a S. Lorenzo al mare.
Era una piccola colonia, una casa che poteva ospitare al massimo una trentina di persone.
Le nostre erano vacanze spartane perché la casa metteva a disposizione una serie di camere, mentre le cucine erano comuni a tutti. In un grande locale c’erano una serie di fornelli (uno per famiglia), una serie di lavandini e un grosso frigorifero dove tutte le famiglie mettevano un sacchetto (con il proprio nome scritto) con le proprie scorte alimentari e una serie di tavoli dove potevano trovare posto tutti.
Noi avevamo la fortuna di essere un gruppo di famiglie legate da parentela e da amicizia: abbiamo provato ad essere cinque famiglie e occupavamo quasi tutta l’intera casa.
Non c’erano certamente obblighi di etichetta e si stava praticamente in costume da bagno o in pantaloncini e canottiera tutto il giorno.
Al mattino, di solito noi uomini, ci alzavamo presto e facevamo una passeggiata su per la collina (visibile anche dalla foto sopra) dove con qualunque tempo raccoglievamo delle lumache che una famiglia di nostri amici, essendone particolarmente ghiotta, si apprestava subito a cucinare.
Prima di rientrare passavamo per il negozio alimentare dove acquistavamo il necessario per la colazione, spesso erano pane, affettati e formaggi. La colazione veniva fatta tutti assieme ed era una bella colazione (un po’ pesante) all’inglese.
Verso metà mattina le donne impostavano il pranzo sui fornelli e poi si andava in spiaggia e non era insolito che si rientrasse in costume da bagno a controllare il pranzo per poi ritornare alla spiaggia (infatti la cucina dava direttamente accesso alla spiaggia).
Al pomeriggio si giocava a bocce in spiaggia e alla sera si facevano interminabili partite di carte e tante, tante risate. I bambini si divertivano e facevano comunella tra di loro.
Un aneddoto curioso, adesso possiamo dire divertente ma allora ci eravamo spaventati, è stato quando non riuscivamo più a trovare nostro figlio Andrea che all’epoca avrà avuto 3 o 4 anni.
Dopo un po’ di ricerche lo abbiamo trovato in un bar poco distante mentre ballava al tempo della musica di un jukebox.
Furono vacanze veramente belle, di quelle che ti dispiace che finiscano perché perdi la compagnia di tanti parenti e amici.
Questa casa, che era in centro paese e aveva l’affaccio al mare, faceva però molto gola agli albergatori del posto perché intuivano le potenzialità di rendita dalla trasformazione in un albergo e dopo molte pressione, don Giovanni cedette e vendette la sua proprietà.
Nel frattempo la diocesi di Brescia affidò a don Giovanni la gestione della colonia Leone XIII di Cesenatico.
Oltre che un ottimo sacerdote, don Giovanni era un eccellente amministratore e, essendo già il momento della decadenza delle colonie, cercò di risollevarne le sorti adattando parte della grandissima colonia Leone XIII all’accoglienza di gruppi familiari e facendo costruire all’interno dell’ampio cortile una piscina.
Ed è appunto in questa colonia che io e la mia famiglia alla quale ora si era aggiunto anche nostro figlio Pier Luigi, trascorremmo per alcuni anni (credo a cavallo degli anni 80 e 90) le nostre ferie.
Rispetto alla piccola colonia di S. Lorenzo, questa era una grossa colonia che si sviluppava in tre grandi ali e che poteva contenere contemporaneamente fino a 2000 ragazzi.
Un’intera ala era stata adattata all’ospitalità di famiglie e quindi le vecchie camerate erano state sostituite con camere singole.
Ogni famiglia aveva una camera con bagno ed era legata alla struttura unicamente per il servizio di mensa che avveniva sempre nel grande refettorio con un menù più ricco e più vario.
Per il resto le singole famiglie erano completamente libere di andare in spiaggia e uscire in paese come e quando volevano.
Le nostre vacanze erano particolarmente belle perchè ci trovavamo con le 4/5 famiglie con le quali ci eravamo trovati a S. Lorenzo più un’altra famiglia di Osnago (tutte con figli abbastanza vicini all’età dei nostri).
Gli adulti legavano tra di loro ed in particolare dopo cena e dopo l’immancabile giro nei negozi del paese, ci si radunava nel corridoio del proprio piano e si rimaneva alzati fino a molto tardi a giocare a carte, mentre i ragazzi facevano comunella tra di loro.
In spiaggia eravamo sempre insieme; facevamo lunghe camminate sul bagnasciuga fino a raggiungere i moli, raccoglievamo conchiglie, organizzavamo interminabili partite di bocce in spiaggia.
A circa una trentina di metri dalla riva, era posizionata a filo d’acqua e sostenuta da un palo una statua della Madonna che sarà stata alta circa un metro e che era chiamata “la madonnina del mare”.
Quando c’era la bassa marea era possibile raggiungerla toccando sul fondo, ma quando la marea si alzava, negli ultimi dieci metri, era necessario nuotare. Il 15 di agosto, festa dell’Assunta, i pescatori del posto deponevano una corona di fiori e i villeggianti cercavano di raggiungerla per renderle omaggio.
Io non ero un buon nuotatore, ma un anno volli seguire alcuni della nostra compagnia, compreso mio figlio Andrea, che avevano già raggiunto la madonnina e se ne stavano attaccati al palo che la sosteneva.
Nell’ultima parte ho fatto qualche bracciata ma mi sono lasciato prendere dal panico e ho incominciato ad annaspare.
Fortunatamente mio figlio Andrea e altri mi hanno teso la mano e mi hanno guidato fino alla base della madonnina e riaccompagnato poi fino nella zona più bassa.
Ricordo ancora ora la sensazione di panico che ho provato e ringrazio chi mi ha aiutato e, perché no, anche la madonnina.
Da allora me ne sono guardato bene dal nuotare dove non tocco.
Finita la vacanza, quando era ora di tornare ci prendeva la malinconia perché dovevamo lasciare la compagnia ma ci confortava il fatto che l’amicizia continuava parzialmente anche a casa e che comunque ci davamo appuntamento per l’anno successivo.
Purtroppo anche questo tentativo di mantenere in piedi la colonia con la formula mista ebbe un brusco rallentamento con la scomparsa prematura di don Giovanni.
Dopo la nuova gestione i servizi e le presenze peggiorarono ulteriormente e comunque, come anche le altre strutture analoghe, dopo pochi anni fu costretta a chiudere perché il numero delle presenze diminuiva sempre più e la struttura non era più in grado far fronte alle spese generali.
Alcune colonie furono riconvertite in alberghi o stabili di utilizzo pubblico, ma molte rimasero chiuse e iniziarono il lento ma inesorabile degrado.
Chi ha l’opportunità di andare ancora oggi sul litorale adriatico può osservare questi enormi casermoni con le finestre e le porte sbarrate con travi di legno per impedirne l’ingresso ai malintenzionati.
E’ uno spettacolo che fa male al cuore. So che ci sono stati dei censimenti e degli studi per il recupero di tutte le strutture abbandonate.
Personalmente mi auguro che le autorità locali trovino la formula e i finanziamenti per recuperarle e convertirle in edifici di pubblica utilità.
Con questa speranza vi saluto e vi do appuntamento alla prossima letterina.
nonno Antonio