Nascita delle colonie estive

Carissimi nipoti,
come vi ho accennato nella precedente letterina, oggi vorrei parlarvi delle “colonie per soggiorni estivi”, le uniche vacanze che la grande maggioranza che i ragazzi della mia epoca, anni cinquanta-settanta, potevano permettersi.

Verso la fine del 1800 si incominciò a conoscere i benefici che l’acqua del mare, associata all’esposizione ai raggi del sole, poteva avere sulla crescita armoniosa dei ragazzi e in particolare su certe patologie dell’apparato respiratorio. Nacquero così, credo finanziate dallo stato, le prime case destinate ad ospitare ragazzi un po’ fragili.

Queste case si ampliarono ulteriormente nella prima parte del 900′ ed in particolare durante gli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, nell’ottica di bonificare zone paludose e come significato propagandistico dell’allora governo.

Fu soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, in corrispondenza della grande reazione di rinascita e crescita economica del popolo italiano, che le colonie trovarono il loro massimo sviluppo e utilizzo.

Si consolidarono quelle già esistenti e ne furono costruite delle nuove un po’ in tutta Italia, ma in particolare nelle aeree depresse del litorale adriatico, dove vennero costruiti grandi edifici che arrivavano ad ospitare fino a 2000 ragazzi contemporaneamente.

Le colonie furono costruite e gestite da enti morali, quali parrocchie e diocesi; da enti civili quali comuni, regioni o associazioni; da grosse aziende che riservavano l’utilizzo di queste case ai figli dei loro dipendenti. Assieme alle colonie marine nacquero, anche se con volumi minori, le colonie per un soggiorno in montagna.

Come ho già avuto modo di dire, il mio papà lavorava alla Ferriera di Castro (successivamente Ilva, poi Italsider, e infine Lucchini), e quindi per due o tre anni ebbi la possibilità di beneficiare di una delle colonie di proprietà e gestite dall’azienda.

La colonia dove sono andato io era una delle tante della riviera di ponente di Cesenatico ma non ne ricordo il nome, mentre la nonna Lina ricorda perfettamente il nome della colonia nella quale andò lei ed era la colonia “Francesco Baracca” di Cesenatico gestita dal comune di Costa Volpino.

Magari qualcuno della zona di Costa Volpino ricorda di aver trascorso le vacanze in questa colonia assieme a Cretti Lina negli anni 1962/1963 e potrebbe condividere con lei ricordi e sentimenti di questa vacanza.

La nonna Lina non ha vissuto molto bene queste vacanze e in particolare ricorda il primo approccio con l’acqua: a fronte di un sua esitazione a bagnarsi completamente, ricorda di essere stata costretta o meglio di essere stata “letteralmente buttata in acqua” dalla signorina e di aver bevuto.

Questo deve avergli procurato un trauma perchè quell’episodio non l’ha mai dimenticato e, anche da adulta, ha sempre avuto paura ad immergersi completamente.

Andiamo ora a conoscere meglio come funzionava questo tipo di vacanza.

Durante l’inverno, presso la la ditta o l’ente, le famiglie con figli in età dai 6 ai 10 anni (questa infatti era la fascia di età alla quale era rivolta questa opportunità), avevano la possibilità di ritirare un modulo per la compilazione della richiesta del soggiorno marino.

Dopo un paio di mesi veniva comunicata l’eventuale accettazione della domanda, definita la località e il periodo di soggiorno che di solito era di tre settimane. Veniva consegnata una divisa e assegnato un numero personale. A questo punto la mia mamma cuciva il numerino sulla divisa (pantaloncini, maglietta e cappello) e sulla biancheria personale; questo serviva per individuare la biancheria dopo il lavaggio.

Il giorno fissato salivamo sugli autobus che ci portavano a destinazione. Alla partenza c’era un po’ di entusiasmo ma a mano a mano che ci si allontanava prevaleva la malinconia perché il distacco dalla famiglia a quell’età era sempre difficoltoso.

Scesi dall’autobus venivamo ricevuti da una ragazza che chiamavamo “signorina” e che era la nostra responsabile e la nostra referente per tutto il tempo della nostra permanenza. La signorina ci portava nella nostra camerata dove, vicino alla propria branda ognuno sistemava i propri effetti personali in una specie di comodino posto ai piedi del letto.

Ognuno consegnava poi la piccola disponibilità di soldi che i nostri genitori ci avevano dato. Questi venivano ritirati dalla signorina che teneva una registrazione: ogni volta che avanzavamo una richiesta (di solito era per l’acquisto e la spedizione di una cartolina e per l’acquisto di un regalino verso la fine del soggiorno) il costo veniva depennato dalla somma iniziale.



Veniva poi spiegato il regolamento che prevedeva degli orari ben precisi per ognuna delle attività giornaliere. Dopo esserci alzati e lavati nei bagni comuni, si andava a fare colazione nel grande refettorio, per poi uscire verso la spiaggia (rigorosamente in fila con la propria signorina davanti) dove trovavamo posto all’ombra sotto lunghi porticati ricoperti da tappeti di paglia.

C’era poi il tempo di fare il bagno (credo una ventina di minuti) e il tempo per prendere il sole. Seguendo la teoria dei benefici dell’acqua del mare integrata con il sole, dopo il bagno la signorina ci faceva sdraiare e si stava per un “tot” di minuti a prendere il sole prima girati da una parte e poi dall’altra.

Quando eravamo “cotti a puntino” ci facevano ritornare all’ombra per un po’ di riposo e di gioco libero.  Gli unici giochi possibili erano di scavare buche nella sabbia e fare castelli con le mani. Se trovavamo delle conchiglie dovevamo nasconderle perchè la signorina non ce le lasciava portare in camera.

Arrivava così l’ora di pranzo e, tutti in fila, ci avviavamo nel refettorio ad occupare il posto a ciascuno assegnato.

Dopo pranzo, volenti o nolenti, c’era l’ora del riposino nelle proprie camerate o su delle sdraiette, ma sempre ben controllati dalle signorine.

Poi di nuovo in spiaggia, un po’ di tempo all’ombra, il secondo bagno e a seguire il momento per prendere il sole e infine si ritornava in refettorio per la cena. Dopo cena alcuni giochi nel cortile fino all’ora di andare a letto.

Durante la giornata c’era anche il momento della ginnastica che poteva essere fatta sia in spiaggia che nel grande cortile davanti alle colonie.

Dopo la descrizione in generale delle colonie e di una giornata tipo della vacanza che i  ragazzi trascorrevano, vi lascio momentaneamente per darvi appuntamento alla prossima letterina dove andrò a descrivere il rientro a casa dei bambini alla fine della vacanza (forse sarebbe più corretto dire: alla fine del soggiorno, perché non si poteva considerare una vacanza vera e propria) e il progressivo svuotamento e degrado delle colonie.

Cari saluti,

nonno Antonio

 

4 commenti

  1. Sono loverese (classe ’50) e mio padre lavorava all’Ilva. Anche io sono stato per un paio di anni in quella colonia , credo fosse a Pinarella di Cervia . Sul mio profilo FB ho anche pubblicato una foto (ne ho anche alcune altre).

    1. Author

      Anche Nonno Antonio è classe 1950!

  2. Io son del 64 e sono stato alla Baracca di Cesenatico nel 73 e nel 74 alla Cardinal Schuster. La vita era proprio come l ha descritta nonno Antonio. La frase più azzeccata? Non era una vacanza… era un soggiorno. Il ricordo dei numerini cuciti sugli abiti ancora oggi mi fa salire lo sgomento.

  3. Sono nato nel 1947, mio padre dipendente Montecatini di Assisi, sono stato in colonia ad Igea Marina anni 1954/1955/1956
    Mi ricordo il nome della colonia anno 1956 ” Colonia Italia” .
    quando si incontravano gruppi di ragazzi di altre colonie il saluto e risposta era:

    di che colonia sei?
    della fame e della sete
    asini che siete
    domani morirete

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