Carissimi nipoti,
prima di parlare della piccola produzione di pomodori per uso domestico del mio orto voglio riportare alcune nozioni sulla nascita e la diffusione di questo gustosissimo ortaggio.
La pianta del pomodoro ha origini nel Messico e nel Perù e ne sono state trovate traccie già all’epoca degli INCA e degli AZTECHI. Fu importato in Francia nel 1540 dal conquistatore Hernan Cortes che di ritorno di un suo viaggio ne portò alcune piantine. Nel clima troppo freddo della Francia i frutti risultavano però piccoli e gialli e quindi inizialmente fu considerata semplicemente come pianta ornamentale.
In particolare se ne innamorò il Re Sole che la volle nei giardini di Versailles dove, i suoi fiorellini gialli e le palline gialle dei frutti, venivano mostrate con vanto dallo stesso Re Sole. Alla fine del 1500 raggiunse anche il nord Italia ma fu solamente quando, dopo altri 20 anni circa raggiunse il sud Italia, che la piantina, incontrando il caldo sole del sud, produsse dei frutti molto più grandi e rossi.
I primi ad utilizzare questo frutto per scopi alimentari furono i contadini poveri del sud e pian pianino gli agronomi ne svilupparono varietà sempre più produttive e che meglio si adattavano anche a climi più freddi. Attualmente nella sola Italia ne esistono più di 300 varietà.
Veniamo ora al mio piccolo orticello. Come succede anche per le altre verdure, io preferisco partire direttamente dal seme. Come ogni anno, prendo alcuni tra i primi e più grossi pomodori e ne ricavo i semi. Dopo averli risciacquati abbondantemente in acqua corrente, li faccio asciugare all’ombra per un paio di giorni.
Avvolgo i semi (completamente asciutti) in una carta da giornale (in modo che possano “respirare”) contrassegnandoli con il tipo di pomodoro dal quale li ho presi. Normalmente utilizzo tre qualità: cuore di bue per insalata; tondo per salsa; settembrini (un tipo di cuore di bue dai frutti molto grossi che tende a maturare tardi).
Ci sono varietà che mi porto dietro da quasi 20 anni e portano il nome di chi, all’epoca me li ha dati. Ecco quindi che ho la varietà Remo (il mio collega di lavoro di una ventina d’anni fa); la qualità Rosetta (mia cognata che mi aveva dato i settembrini una quindicina di anni fa) per finire con la varietà Bruno (il nome del mio vicino che mi aveva dato la semente di una bella varietà di cuore di bue).
Con la prima luna calante del mese di febbraio, pianto i semini in un piccolo semenzaio coperto da un vetro o da un foglio di plastica. In marzo le piantine cominciano a nascere e, tenendole pulite e annaffiate, per la fine di aprile raggiungono l’altezza di 15/20 cm e sono quindi pronte per essere trapiantate in terreno aperto.
E’ quindi il momento della preparazione del terreno. Dopo aver eliminato tutte le “erbacce” che hanno invaso il terreno durante l’inverno, ho sparso uno strato di cenere di legna e ho provveduto alla vangatura manuale inserendo in ogni solco del letame fatto di foglie e erbe varie, stagionato un paio d’anni.
Una rastrellata finale per livellare e per eliminare sassi o piccoli frammenti di erba e il mio terreno è pronto per il trapianto. Il prossimo anno il terreno destinato a pomodori sarà quello in cui quest’anno ho piantato le zucchine e l’anno successivo ritornerò su questo terreno ottenendo così un minimo di alternanza nella coltivazione.
Normalmente faccio quattro file, distanti circa 80 cm una dall’altra e in ogni fila pianto 7 piantine distanti circa 70 cm una dall’altra per un totale di 7×4= 28 piantine totali. Per trapiantare le piantine utilizzo un rudimentale “foraterra” costituito da un cilindro di legno appuntito dal diametro di circa 5 cm e pratico un foro di circa 10 cm di profondità.
Il trapianto, visto che le piantine non vengono da vaso, è consigliabile farlo di sera e, dopo aver annaffiato abbondantemente, copro le nuove piantine con un vaso rovesciato in modo da ripararle dal sole almeno per i primi 6/7 giorni. Durante i primi giorni è bene tenere bagnata la piantina, ma anche tenere la terra costantemente areata.
Quando le piantine sono perfettamente attecchite, pratico un piccolo solco rotondo attorno alla piantina e vi inserisco un liquido piuttosto denso ottenuto da una lunga macerazione in acqua dello sterco delle mie galline. Questo stratagemma l’ho imparato dal mio vicino Bruno e lui lo chiamava ironicamente “il grappino”, nel senso che come un grappino preso nel momento giusto scuote e risveglia l’organismo umano, altrettanto questo liquame stimola la crescita, rilasciando energia alle piantine.
Bisogna però stare attenti a non metterlo troppo vicino alla pianta altrimenti rischierebbe di bruciarne le ancora deboli radici.
A questo punto è giunto il momento di fissare un tutore. Questa operazione è bene farla a terreno bagnato perché il palo penetra meglio e il foro tende a mantenersi. Quindi, con un palo di ferro appuntito del diametro di circa 5 cm faccio un foro di almeno 40 cm di profondità dove vado ad infilare il mio tutore di almeno 250 cm di altezza in modo che in superficie ne rimangano circa 210 cm. A questo punto la mia piccola piantagione è impostata.
Periodicamente bisogna muovere la terra, areando il terreno e togliendo l’eventuale vegetazione spontanea e provvedere a legare al tutore le giovani piantine.
A questo proposito voglio segnalare il tipo di legaccio che utilizzo: si tratta di una specie di filo ricavato dalle calze di nailon dismesse. Quando le calze da donna sono inutilizzabili vengono lavate e con molta pazienza (lavoro che di solito fa la nonna Lina nelle serate d’inverno) tagliate a striscioline di mezzo cm circa.
Da un paio di calze si ottiene un bel gomitolo di una specie di raffia che è eccezionale per legare i pomodori e altri ortaggi. Infatti oltre alla resistenza offre una grande elasticità che permette di non stringere il fusto della pianta al tutore .
La legatura è una operazione che deve essere fatta abbastanza sistematicamente ogni 5/6 giorni perché le piantine crescono molto rapidamente fino a raggiungere dimensioni notevoli che vanno ad utilizzare tutto il tutore e quindi più di 2 mt. Quest’anno le piante sono particolarmente rigogliose come si può vedere anche dalle foto:
Raggiunta l’altezza massima del tutore, è consigliabile tagliare la parte di vegetazione che eccede perché produrrebbe altri fiori e frutti che sottrarrebbero risorse alla pianta e impedirebbe di sviluppare e portare a maturazione tutti i frutti già presenti sulla pianta.
Qualcuno utilizza anche la tecnica di “mondare” periodicamente le piante in modo da ridurre e contenere i rami che vanno a frutto. Personalmente non seguo questo metodo e lascio che la pianta si sviluppi in modo naturale.
Quest’anno la maturazione dei pomodori è in ritardo e solo da una decina di giorni ho incominciato a raccoglierne qualcuno.
Queste notizie sulla mia piccola produzione di pomodori non vogliono essere un vanto o l’esposizione di prodotti dal peso record ma vuole semplicemente fissare sulla carta un modo antico e naturale (quello che io conosco e che mi è stato tramandato) di produrre i pomodori.
Più che sulla quantità e sulle dimensioni io punto alla genuinità e al sapore del prodotto. Come descritto sopra, nella mia coltivazione non ci sono prodotti chimici. Il quantitativo dei pomodori è sempre sufficiente per il consumo nostro e dei nostri figli e se c’è un’annata particolarmente fruttuosa, l’avanzo di produzione viene trasformato in salsa.
L’utilizzo principale della mia famiglia è in insalata ed è anche il modo in cui viene maggiormente esaltato il sapore anche perché, avendo la fortuna di avere l’orto fuori casa, il pomodoro arriva in tavola ancora caldo dal sole e vi assicuro che non c’è alcun paragone con il prodotto acquistato dalla grande distribuzione che necessariamente è costretta ad utilizzare le celle frigorifere.
Personalmente amo impreziosire la mia insalata di pomodori aggiungendo una bella spolverata di grana che va ad addensare l’intingolo e dà al tutto un sapore particolare. Questo modo di mangiare il pomodoro mi ricorda inoltre il periodo della mia infanzia (50/60 anni fa) quando non c’erano tanti piatti e spesso la sera mangiavamo appunto un bel panino con l’intingolo dell’insalata di pomodori cosparsi di grana e, se il tempo lo consentiva, mangiavamo su un tavolinetto all’aperto nel cortile. !uesto probabilmente piaceva molto a me e ai miei fratelli perché me lo ricordo ancora con piacere.
Comunque, se mi posso permettere un consiglio a coloro che purtroppo non dispongono di un orto proprio e devono quindi acquistare i pomodori, direi di consumarli solo di stagione e di lasciarli a temperatura ambiente, o se possibile al sole, prima di consumarli.
Cari nipotini, so che voi, e in generale bambini piccoli, spesso snobbate questa verdura, forse per la sua acidità, però imparate presto ad apprezzarla come salsa sulla pastasciutta o come condimento indispensabile della pizza.
Quindi quando incontrate questo ortaggio in qualsiasi alimento ricordatevi di quanto lavoro, pazienza e amore servono per produrre il prezioso pomodoro che viene anche definito “oro rosso”.
Nonno Antonio vi saluta e vi dà appuntamento alla prossima letterina.