Carissimi nipoti,
dopo i tre racconti relativi alla stalla di mio nonno “Giovanni Maria” nella quale ho vissuto i miei primissimi anni di vita, voglio cercare di ricostruire in parte anche gli anni successivi.
Per esempio del periodo dell’asilo ho solo pochissimi ricordi.
Bisogna premettere che io sono nato alla Rondinera, in una piccolissima contrada che, come dico nella poesia sul comune di Rogno, era fatta delle ipotetiche “tre case” dove non c’erano né bottega, né asilo, né chiesa, né scuola. Quindi per andare all’asilo si andava a Rogno, distante un paio di chilometri.
Altrettanto si faceva per andare a scuola mentre la parrocchia e la Chiesa erano a Castelfranco, anch’esso distante un paio di chilometri ma tutti in salita. Per quanto riguarda la bottega, credo che mia mamma andasse un po’ a Rogno e un po’ a Castello.
Una volta la spesa non era come adesso che è diventata una vera e propria necessità e attività. Almeno un paio di volte alla settimana ci si reca in uno dei numerosissimi supermercati, ci si attrezza con un carrello che alla fine inevitabilmente diventa pieno perchè si finisce spesso per acquistare anche quello che non è stato scritto nella lista della spesa.
Nei nostri carrelli sono numerosi i prodotti per la lavatrice, prodotti per togliere il calcare, prodotti per l’igiene intima, prodotti per la pulizia della casa, dei vetri, dei pavimenti, prodotti per l’igiene dentale dagli spazzolini ai dentifrici, agli scovolini, prodotti per profumare il WC, carta igienica di ogni tipo, fazzoletti di carta, pannolini per bambini, adulti e anziani.
I prodotti alimentari spesso sono la cenerentola della spesa. Ai tempi della mia infanzia tutti questi prodotti non esistevano fatto salvo il famoso sapone di marsiglia (che veniva comunque acquistato con moderazione). La spesa consisteva in pochissimi articoli alimentari.
Il pane, neanche tanto perché la parte sostanziale dell’alimentazione la faceva la polenta, un cartoccio di zucchero che veniva acquistato ad etti e veniva avvolto in una carta abbastanza robusta di colore azzurro (tanto è vero che questa carta ha dato il nome ad un colore che si chiama appunto “azzurro carta di zucchero”), un po’ di riso e pasta che venivano venduti a peso e avvolti anch’essi in cartocci di carta.
Insomma in una borsa era possibile contenere la spesa di una settimana di una intera famiglia.
Non è che si mangiasse solo quel poco di pane, pasta e riso, ma in ogni casa contadina il granoturco non mancava mai e con esso la farina gialla per la polenta. Con le mucche il latte non mancava mai così come il burro e un po’ di formaggio.
Si allevava quasi sempre un maiale e con esso si potevano avere insaccati quasi per tutto l’anno senza contare il lardo e lo strutto che veniva usato come condimento, in sostituzione del burro. Le galline davano quotidianamente le uova e ogni tanto anche carne per fare del buon brodo. Spesso venivano allevati anche i conigli che notoriamente sono molto prolifici e quindi si riusciva ad avere magari un coniglio ogni mese.
I campi fornivano patate e un po’ di frutta (mele, pere, albicocche, noci, nocciole, fichi…) mentre gli orti davano un po’ di insalata, qualche pomodoro, verza e fagioli che spesso venivano piantati tra una pianta e l’altra del granoturco. Per quanto riguarda poi le bevande, adesso ci sono mille tipi diversi di acque, di aranciate, di coca cola, di birra e di vini e di tanti altri derivati. Una volta la bevanda principale era l’acqua. Acqua che, come ho già avuto modo di dire, era attinta direttamente al piccolo torrente, prima che arrivasse in casa l’acqua dell’acquedotto.
Normalmente gli uomini riuscivano ad avere un po’ di vino del piccolo vigneto che quasi tutti avevano nella parte collinare che andava verso Castello. Dagli avanzi di lavorazione del vino di solito si riusciva a fare anche un poco di grappa.
Ricordo ancora con tenerezza le volte in cui andavo a dormire nel lettone con il mio nonno Giovanni Maria. A parte la sorpresa iniziale di quando si spogliava per andare a letto rimanendo con un camicione lungo quasi fino ai piedi, ricordo che dava un sorso ad una bottiglietta sul comodino che conteneva la grappa che lui stesso aveva distillato, faceva il segno di croce e si coricava. Un sorso alla sera e un sorso al mattino ed era pronto per la giornata (mio nonno non ha mai avuto nessuna malattia ed è morto a 95 anni di vecchiaia).
Comunque, cari nipotini, la vita e i prodotti di oggi sono completamenti diversi e quindi questa abitudine del nonno Giov. Maria è meglio non imitarla.
Ritorniamo alla mia frazione Rondinera. Ricordo di aver provato a chiedere al mio amato nonno, che sicuramente era stato uno dei primi abitanti di questa piccola pianura sulle rive del fiume Olio, da cosa derivasse questo nome e la sua risposta era abbastanza incerta.
Secondo qualcuno il nome poteva derivare dall’avvistamento, abbastanza insolito per quella zona, di una lontra nera (da qui poi la derivazione di Rondinera). Secondo altri il nome Rondinera deriverebbe molto più semplicemente dalla presenza in estate di numerose colonie di rondini che all’epoca trovavano posti ideali sotto i vari soffitti in legno per costruire i propri nidi.
Seguendo questa filosofia, quando attorno al 1970 un mio zio (Zio Francesco detto “Checö”) costruì una nuova casa e nel piano terra aprì un bar, lo chiamò “Bar Rondine” e, a conferma del suo significato, sul bancone fece disegnare un volo di rondini.
Arriviamo quindi al periodo del mio asilo. L’asilo era nel paese di Rogno e, come tutti gli asili di allora, era gestito da suore. Dell’asilo ho pochissimi ricordi; ho un vago ricordo del cestino che portavamo e che serviva per portare la merenda o l’integrazione al pasto.
Nell’edificio dove c’era l’asilo, attualmente c’è un negozio che ha mantenuto il cortile antistante del quale ho un vago ricordo di me che mi aggiravo con il mio cestino, in attesa di poter entrare. Non ricordo con cosa andassi all’asilo e chi mi accompagnasse.
Ho un ricordo tenerissimo di una volta che pioveva forte e mi ha accompagnato il mio papà. All’epoca, in inverno, gli uomini usavano portare degli ampi mantelli che coprivano completamente la persona. Naturalmente il mio papà non aveva la macchina ma aveva una bicicletta, la classica bicicletta da uomo, nera, con il manubrio bello largo e con i freni a bacchetta.
Credo che mi abbia appoggiato sulla canna della bicicletta e mi abbia completamente avvolto nel suo mantello. Io ho questa tenera immagine di un viaggio, nel quale ero completamente al buio e all’asciutto, ma non avevo paura perchè avevo una sensazione di grande tenerezza e sicurezza. Con questa immagine nella mente e la sensazione di tenerezza di mio padre finiscono i ricordi del mio periodo di asilo.
Passerei ora a cercare di ricostruire e ricordare i cinque anni della scuola elementare. Come per l’asilo, anche la scuola elementare l’ho fatta fisicamente nel paese di Rogno. Mentre l’asilo era sistemato in un edificio all’inizio del paese (più vicino alla Rondinera), la scuola era sistemata in un edificio alla fine del paese e praticamente sul confine della frazione di Bessimo. L’edificio era anche sede del comune e dell’ambulatorio del medico condotto che era il compianto dott. Aldo De Petri.
All’epoca i medici condotti non si limitavano alla visita e alla prescrizione delle eventuali medicine, ma facevano un po’ di tutto (infatti le prime estrazioni di denti cariati me le ha fatte lui). Il mio medico condotto era il papà di Ciro De Petri che più avanti divenne famoso per le sue corse e vittorie con la moto e in particolare alle gare vinte nel rally d’Egitto e nella massacrante corsa della Parigi Dakar. Ricordo quando la banda del paese andò ad accoglierlo sotto casa sua, al rientro da una sua trionfale trasferta.
All’inizio, per i primi due anni, avrò certamente fatto la strada assieme a mio fratello Giancarlo che ha tre anni in più di me, però di questi viaggi non ho alcun ricordo. L’unico ricordo vago è che un giorno, per qualche ragione, sono andato nella classe di mio fratello.
Della mia scuola elementare ho il ricordo della mia maestra Irma. A quei tempi i maestri erano tutti piuttosto severi ed era normale che dessero delle punizioni fisiche agli scolari indisciplinati o che non si impegnavano. Le punizioni di solito consistevano in percosse sulle mani. La mia maestra faceva mettere le mani aperte sul banco e poi le colpiva con un piccolo fascio di ortiche che non provocavano dolore ma quel prurito fastidioso classico delle piante orticanti. Il maestro di mio fratello, invece, era solito colpire le mani con una piccola frusta.
Se succedesse adesso qualcosa di simile, partirebbero immediatamente delle denunce, ma allora era così e nessun genitore si permetteva di criticare il maestro e anzi, se sapevano di queste punizioni, era facile che ne aggiungessero altre anche loro.
Non voglio dire che fosse giusto così; anch’io oggi, se un mio nipote venisse punito fisicamente da un insegnante, mi indignerei. Quello che facevano i maestri di allora, con metodi sicuramente discutibili, era di cercare di inculcare nei ragazzi il rispetto degli educatori e degli adulti, rispetto che naturalmente non doveva essere conquistato con la violenza o con la paura ma con il ragionamento, con l’esempio e con l’amore.
Purtroppo al giorno d’oggi si assiste sempre più spesso ad episodi esattamente contrari, vale a dire ragazzi e genitori che aggrediscono verbalmente e a volte anche fisicamente i loro insegnanti colpevoli solo di fare il loro dovere assegnando voti insufficienti a fronte di una mancata preparazione o ad un mancato rispetto degli altri o della struttura che li ospita.
E’ anche vero che gli studenti di allora erano abbastanza “monelli”. La mia maestra Irma veniva a scuola con un piccolo motorino e gli studenti più grandi, un giorno, le fecero uno scherzo abbastanza pesante. Misero un tappo di sughero al tubo di scappamento del motorino. Quando la maestra mise in moto il motorino, questo scoppiettò in modo anomalo fino a quando il tappo venne espulso violentemente provocando un bello spavento alla povera maestra e una serie di risate nei ragazzi che si erano nascosti per godere del risultato del loro scherzo.
Negli ultimi anni ricordo la strada che facevo a piedi assieme ad altri ragazzi della Rondinera. A quell’epoca non c’era il piedi bus e quindi dovevamo stare attenti noi al traffico anche se sicuramente era molto più limitato rispetto ad oggi. I miei ricordi delle scuole elementari si limitano a questi piccoli aneddoti e all’immagine di questo andare e tornare da scuola a piedi e credo che comunque, mancando ricordi brutti, siano stati anni di tranquilla crescita fisica e culturale.
Adesso cari nipotini, vi saluto e vi rimando alla prossima lettera dove andrò a parlare del prosieguo della mia crescita.
Nonno Antonio